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L’ex Convento dei Teatini (da San Gaetano Thiene), poi Palazzo di Giustizia, progettato da Vincenzo Scamozzi ed eseguito insieme alla Chiesa di San Gaetano, la cui iscrizione sopra la porta centrale ci informa che la Chiesa ebbe termine nel 1586, insiste su un’area a oriente della città, al di fuori delle mura della cosiddetta “cittadella insulare”, ma all’interno delle mura cinquecentesche (fig. 1). Un’area molto vicina al fiume Brenta, l’antico Meduacus che, sicuramente in età preromana, doveva attraversare Padova con un unico corso serpeggiante, destinato a mutare lo scorrere delle proprie acque nel periodo delle catastrofiche divagazioni fluviali riferite da Paolo Diacono (Hist. Lang., III, 23) che sconvolsero ogni precedente assetto idrografico della Padania orientale. La storia di Padova, quindi, è intimamente legata a un fiume.
Questa particolare situazione idrografica di Padova ha consentito insediamenti umani accertati sin dall’XI-X sec. a.C., ma è nelle fasi più tarde che la città sembra avere assunto una condizione urbana, dotata di una articolazione abbastanza unitaria.
Padova è intimamente integrata a Roma e ne segue fedelmente le sorti. Nel primo impero assume le caratteristiche di capitale della Venetia romana. La sua forma è improntata da una planimetria complessivamente irregolare, con cinque ponti in pietra sul corso d’acqua e un attivissimo porto fluviale.
È verosimile che Padova abbia subito un’evoluzione graduale, con un primo reale assestamento urbanistico nella tarda età repubblicana. La città fu interessata dalla via romana Annia, da ricondurre, probabilmente, a T. Annio Lusco, console nel 153 a.C., che la metteva in diretta comunicazione a sud con l’Emilia, a est con Aquileia. Successivamente, probabilmente su tracce esistenti, si venne stabilizzando la raggiera delle strade che partivano da Padova in tutte le direzioni.
Il centro abitato era perimetrato da necropoli, da abitati e da luoghi di culto.
Essendo ubicato in via Altinate, l’ex Convento dei Teatini viene a trovarsi nella parte nord-orientale della città, lungo un’importante arteria viaria d’età romana, che era in diretto collegamento con il centro cittadino, imperniato fra i ponti romani San Lorenzo e Altinate (fig. 2). Da quest’ultimo ponte si staccava la via diretta ad Altino, che permetteva di raggiungere Aquileia, il cui tratto iniziale partiva proprio da Porta pontis Altinatis, cioè una delle Portae regales di cui fa cenno Giovanni da Nono nella sua Visio Egidij Patavie. Su questa arteria viaria che attraversava il ponte romano, conosciuto fin dal 1058 con il nome di “Ponte Altinado”, ci sono preziose testimonianze archeologiche (fig. 3).
Infatti, nel 1972, ma ancora prima nel 1951, durante lavori stradali nei pressi del cinema Altino e oltre, quindi nelle immediate vicinanze dell’ex Convento dei Teatini, si portò alla luce un tratto stradale d’età romana lungo circa 35 metri (fig. 4), il cui orientamento sembra il medesimo dell’attuale via Altinate. Quasi all’incrocio con questa via, sempre nel 1972, si rinvenne un altro tratto di strada romana afferente al sistema della via Annia per Altino, forse da collegare al tratto viario rinvenuto in via Eremitani.
Altre evidenze archeologiche rinvenute nell’area compresa tra il ponte romano e la via Altinate si possono così riassumere:
- nel 1637, in via Carlo Cassan, durante lavori edilizi nell’ex Chiesa di San Bartolomeo, si portarono alla luce due basi di statue o are, di cui una, che corrisponde al nome del dedicante P. Milvius Cilo, sembra sia stata nuovamente interrata, mentre l’altra, il cui nome è Sex Pompeius, si conserva al Museo Maffeiano di Verona (I-II sec. d.C.) (fig. 5);
- nel secolo XIX venne donata al Museo di Padova un’iscrizione onoraria romana rinvenuta in via Altinate e dedicata a T. Mustius Hostilius Fabricius Medulla Augurinus per decreto dei Decurioni, sicuramente databile al II sec. d.C. poiché il testo riferisce che il personaggio era stato nominato Senatore sotto Nerva (96-98 d.C.) (fig. 6);
- nel 1662, in via Altinate, si trovò un’ara votiva con iscrizione C. Helvius Romanus, dedicata a una divinità siglata I. D. (I-II sec. d.C.) (fig. 7);
- nel 1930, in via Altinate, presso l’ex Tribunale, si rinvenne un frammento di cornice cassettonata che presenta, partendo dal basso, un kymation (modanatura), un breve tratto di corona liscia, un secondo kymation continuo, un listello, una piccola parte di sima decorata con foglie d’acanto e d’acqua (I sec. d.C.) (fig. 8);
- nel 1828, in via San Gaetano, durante lavori per fognature, si scoprì un lacerto di mosaico, sul cui pavimento fu trovata una moneta di Giulia Mamea, figlia di Giulio Avito e di Mesa, sorella di Soemia, madre di Severo Alessandro (III sec. d.C.). Sullo stesso sito, nel 1882, fu possibile recuperare un pavimento a mosaico a semplici tessere bianche, mentre nel 1957 si portò alla luce un altro lacerto di mosaico a tessere nere con decorazione a crocette bianche ( II sec. d.C.) (fig. 9);
- nel 1930, in via Altinate, presso l’ex Tribunale, si trovarono due cucchiai di bronzo con apice a “zoccolo di animale” (età romana imperiale) (fig. 10) e tre macine in trachite (età romana imperiale) (fig. 11).
Nell’area su cui poi sorse il complesso di san Gaetano fu fondato, nella seconda metà del Trecento, il piccolo monastero della Congregazione degli Umiliati, con annessa chiesa intitolata ai Santi Simone e Giuda, che restò invariata fino al Cinquecento. Vincenzo Dotto nella pianta Padova circondata dalla muraglie nuove, pubblicata a corredo del volume di Angelo Portenari Della felicità di Padova nel 1623, rappresenta la città cinquecentesca: vi è attestata l’intitolazione dell’edificio sacro (toponimo n. 21), raffigurato in alzato e di cui si possono leggere le piccole dimensioni (fig.12).
La Congregazione dei padri Umiliati fu soppressa nel 1571 per decreto di Pio V; monastero e chiesa passarono al Seminario vescovile ed in seguito (1573), gli edifici furono donati all’ordine dei chierici regolari Teatini. I fabbricati risultarono troppo piccoli ed i Teatini provvidero ad acquisire numerose proprietà adiacenti al monastero per ampliarlo e stabilirono di riedificare la chiesa.
I lavori alla chiesa iniziarono nel 1582, sotto la direzione dell’architetto Vincenzo Scamozzi, che ne dà notizia nella sua Idea dell’architettura universale, dove ascrive a sé anche il convento, e si conclusero nel 1586, come attesta l’iscrizione sopra la porta centrale. Nella pianta assonometrica Patavium nobilissima, pubblicata nel 1617 nella prima raccolta sistematica di vedute e piante di città dell’universo allora conosciuto, la chiesa - ancora identificata in legenda con l’intitolazione SS. Simone e Giuda (toponimo 12) - benché in una riproduzione non fedele, appare nella sua nuova mole (fig. 13).
Scamozzi, che si occupò in Padova anche di alcune opere di edilizia privata e di altre strutture religiose, progettò un edificio a pianta ottagonale con due cappelle ai lati e ed una in fondo per l’altare maggiore, che immette nel coro. Il vano centrale è coperto da una grande cupola e le cappelle da tre cupolini. L’abbandono della struttura a navate rispecchia il clima controriformistico e i rinnovati intenti delle fondazioni religiose.
L’elegante facciata a larghe paraste ben si inserisce in via Altinate, asse di collegamento con la laguna, il cui fronte è caratterizzato da un’edilizia di qualità.
I lavori per il monastero proseguirono fino al 1594 quando furono interrotti per mancanza di finanziamenti; le attività ripresero sotto il governo di padre Raffaello Savonarola (1692-1730), quando si provvide anche al rinnovo dell’arredo decorativo interno della chiesa.
La pianta del cartografo Giovanni Valle (fig. 14) - stampata nel 1784 su disegno tratto nel 1781, realizzato con l’applicazione delle misurazioni trigonometriche - mostra il complesso conventuale nella suo ampio sviluppo ed evidenzia puntualmente il chiostro.
In due grandi fabbriche, cui si aggiunse la loggia scoperta, si edificarono il Refettorio al piano terreno e, sopra di esso, la Libreria; un Dormitorio, la Porteria con numerose camere, la Spezieria.
Ai primi dell’Ottocento, a seguito della soppressione degli ordini monastici, il convento passò al Demanio per essere poi acquistato dal Comune nel 1874.
Già nel 1816 è documentato un progetto dell’ingegnere P. Nalin per trasformare l’ex convento in sede della Corte di Giustizia, come avvenne solo più tardi. Tale utilizzo è riportato nelle legende di numerose piante dell’epoca, come quella esposta di Vincenzo Voltolina (1840) al numero 8 (fig. 15); nel 1844 si studiò la possibilità di adibirlo a caserma delle Guardie militari di Polizia, ma permase l’utilizzo come Palazzo di Giustizia.
Nel 1929 un progetto di ricostruzione del Tribunale, necessario per i danni subiti da un ingente incendio, fu affidato all’ingegner Tullio Paoletti e a seguire si acquisirono edifici limitrofi all’ex monastero in previsione di un ampliamento; il nuovo Palazzo di Giustizia fu inaugurato nel 1934 e l’attività giudiziaria vi fu espletata fino al trasferimento progressivo, a partire dal 1995, nella nuova sede.
Il grande cantiere del complesso di San Gaetano ne contiene anche uno archeologico, avviato nell’estate del 2005 e attualmente in piena attività.
Il progetto prevede diverse attività di scavo, tutte sottoposte al controllo archeologico, sia per abbassare la quota degli scantinati esistenti che per realizzare nuovi ambienti interrati, tra i quali una sala convegni, al centro dell’antico chiostro del convento.
L’importanza dell’antico asse viario di via Altinate e i ritrovamenti del passato avevano suggerito alcuni sondaggi di scavo prima di avviare il cantiere, e i limitati interventi del 2002 e 2003 confermarono l’esistenza di una stratificazione complessa, soltanto in parte compromessa dai lavori precedenti (in particolare quelli successivi all’incendio del 1929 e quelli degli anni Sessanta, quando furono realizzate consistenti opere di consolidamento e nuovi fabbricati).
Anche se lo scavo è ancora in corso, qualche anticipazione sui ritrovamenti fin qui effettuati è già possibile. Le parti scavate hanno restituito stratificazioni e resti di strutture dall’età romana ad oggi.
Tra i reperti ceramici vi sono alcuni piatti e scodelle di età rinascimentale, provenienti dal riempimento di una fossa.
Per quanto riguarda le strutture, si distingue per dimensioni – almeno 16 metri per almeno 13 - e cura d’esecuzione un edificio databile tra il XII-XIII e il XIV secolo, dietro alla chiesa di San Gaetano, forse riferibile a un edificio civile o militare, e non religioso, anche se vi è notizia, alla metà del Trecento, di una chiesa dedicata ai SS. Simeone e Giuda in questa zona, con un piccolo monastero.
Prima di questo fabbricato esistevano nella stessa area numerose costruzioni e infrastrutture medioevali (secoli XI-XII) di dimensioni più modeste, collegabili ad attività di tipo produttivo e artigianale, ancora non definite con precisione.
Nei livelli inferiori invece le tracce di edifici sono quasi inesistenti, e prevale per l’area una destinazione forse ortiva, in accordo con quanto riscontrato altrove in città durante l’Alto Medioevo (secoli VI-X).
Gli strati che possiamo riferire al periodo tardo antico e alle prime fasi dell’Alto Medioevo (tra il IV e il VI secolo) contengono una quantità elevata di frammenti lapidei anche di pregio notevole: basoli stradali in trachite, elementi squadrati, ma anche frammenti di colonna, di capitelli corinzi, e di cornici architettoniche in marmo. Sarà importante individuare la provenienza di questi frammenti, forse non lontana.
Per l’epoca romana, è significativo il ritrovamento di un piccolo drenaggio d’anfore, certamente non isolato, dato che stanno emergendo indizi d’altri raggruppamenti simili.
(fig. 16)
L’odierna via Altinate insiste sul tratto nord-orientale dell’antica via Annia, forse da ricondurre a T.Annio Lusco, console nel 153 a.C., piuttosto che alla tradizionale datazione al 132-131 a.C . La via entrava in città da sud, all’altezza del Prato della Valle, superava il ponte romano di S. Daniele, attraversava la città seguendo le attuali direttrici di via Umberto-via Roma, separando il fiume, con le banchine e il porto (fig. 17), dall’area pubblica della basilica e del foro ipotizzati tra il Bò e il Pedrocchi. La strada poi cambiava direzione in corrispondenza del ponte Altinate per dirigersi verso la laguna e le importanti città romane di Altino, Concordia ed Aquileia. Il percorso presumibilmente ne ricalcava uno preromano che già sfruttava l’esistenza di guadi, come quello dove tra il 50 e il 40 a.C. sorgerà il monumentale ponte Altinate (tav.1, 1), per unificare i due settori dell’antica città, naturalmente inseriti nell’ansa e nella controansa del ramo patavino del fiume Meduacus-Brenta.
Alcune porzioni di basolato, venute alla luce nel secolo scorso, in vari punti dell’odierna via Altinate, all’altezza del cinema Altino (tav.1, 2) (fig. 18) e della chiesa di S.Sofia (tav.1, 3), identificano il tratto orientale dell’antico tracciato e del sistema viario convergente, di cui tratti antichi sono emersi in via Zabarella (tav.1, 4) (fig. 19), via Eremitani (tav.1, 5), più oltre in via S. Sofia (tav.1, 6) e in via S. Mattia-Giustiniani (tav.1, 7).
L’antica strada poi usciva dalla città lungo una direttrice forse ramificata compresa tra le odierne vie Gradenigo, Belzoni, S. Eufemia e Tiepolo, in un ambito extraurbano destinato, fin dall’epoca preromana, ad un uso funerario la cui complessa organizzazione si va definendo alla luce dei più recenti scavi.
Rinvenimenti occasionali del passato e scavi archeologici recenti documentano e restituiscono il volto, seppur parziale, dell’ampio settore orientale dell’antica città, costituito da strutture edilizie e da infrastrutture di servizio quali ad es. l’acquedotto pubblico di cui un tratto è tornato alla luce lungo via Eremitani (tav.1, 8). Un edificio (tav.1, 9) di cui sono note le fondazioni, sorgeva all’incrocio dell’Annia con una strada ortogonale basolata (tav.1, 10), all’altezza del cinema Altino.
Proseguendo lungo il percorso dell’antica via, si incontrava, sul suo lato meridionale, un edificio di una certa importanza come si può dedurre dai resti di pavimentazione musiva (fig. 20) (tav.1, 11) e dai frammenti di decorazione dipinta, tipica delle pareti delle dimore signorili.
Sul medesimo lato, di fronte all’ex-Tribunale (tav.1, 12), i resti di una pavimentazione musiva a tessere bianche indicano l’esistenza di un altro importante edificio. Si arriva quindi alla domus (tav.1, 13) rinvenuta sotto la chiesa di S.Sofia, al confine quindi dell’antico centro cittadino. In uscita ad oriente dalla città, si apriva uno snodo viario, attraverso le necropoli la cui complessità, sia topografica sia rituale, emerge dai più recenti scavi (fig. 21).
Poco distante dall’Annia per Altino, nell’odierna via S.Gaetano si sono di recente rinvenuti i resti di un singolare complesso monumentale (tav.1, 14). Si tratta di un vano seminterrato, a pianta rettangolare allungata, largo m 3,70 e lungo oltre 40, con una pavimentazione a cubetti di cotto, dall’accurata preparazione (fig. 22). La stesura di uno strato di malta impastata a scaglie di laterizi e di uno strato di cocciopesto come sottofondo alla pavimentazione vera e propria, isolava l’ambiente con funzione forse di magazzino o storaggio. Dei poderosi muri perimetrali restano solo le tracce di spoliazione. La struttura è interpretabile come ala di un criptoportico, databile al I sec. d.C., connesso ad opere di terrazzamento e forse ad una fontana o ninfeo che ne abbellivano l’ampio giardino.
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